Voglio ancora ringraziarvi per come mi state accompagnando nella preghiera e per come state pregando per le persone che vi ho affidato.
Sono certo che mi avete sostenuto anche ieri sera nella bellissima celebrazione nella parrocchia di s. Teresa di Gesù Bambino a Battipaglia. C’erano alcuni di voi e abbiamo davvero vissuto una sera di profonda comunione col Signore, sulle orme di s Teresa, anche grazie al parroco, don Luigi Piccolo.
Il Vangelo di questa domenica presenta vari aspetti importanti. Stasera mi limito a spedirvi il commento di don Fabio Rosini, ma vanno approfonditi tanti altri aspetti. Conto di farlo nelle prossime sere.
XXVI domenica del Tempo Ordinario
Mt 21,28-32
«Nella letteratura rabbinica si parla di una cosa che Dio ha creato per “riequilibrare” il caos del mondo; in ebraico questa cosa si chiama “Teshuvàh” e significa “conversione” e indica l’atto di “tornare indietro”, facendo riferimento alla capacità di invertire la rotta, tornare sui propri passi, ricredersi sulle cose.
Chi è più grande: colui che non sbaglia o chi sa ammettere gli errori? Il problema è che il primo non c’è in giro …ma la domanda serve a sottolineare l’importanza di sapersi interrompere, sapersi consapevolmente contraddire per il bene.
Ci sono persone che si vantano di aver avuto sempre le stesse idee; di non aver mai cambiato posizione …sono soggetti che vivono di certezze granitiche, inamovibili. In genere sono tipi superficiali, che non fanno i conti con le sfumature e i cambiamenti. Viver loro accanto è una tortura: sono noiosi e rigidi.
Ma esistere vuol dire sempre e comunque crescere, mettersi in discussione, imparare daccapo e diversamente quanto finora si credeva acquisito, e questo è segno sia di giovinezza che di maturità. Ci sono anziani con il cuore aperto come bimbi, e giovani sclerotici con idee irrigidite e vecchie.
Cambiare idea non è un evento occasionale, è un atteggiamento che deve rimanere sempre a disposizione, sennò non si ascolta e non si impara mai niente di nuovo.
La minaccia più brutta che Dio fa nelle Scritture? Eccola: “Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito. L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore, che seguisse il proprio consiglio!” (Sal 81,12-13).
Nel Padre Nostro chiediamo di non essere abbandonati nella tentazione, di non essere in balia di noi stessi. Diceva San Bernardo: “Chi si fa maestro di se stesso, si fa discepolo di uno stolto”.
Una cultura che “segue il proprio consiglio” imbocca la via dell’autodistruzione e si autorizza a pratiche autolesionistiche pensando di fare il meglio per sé…
Nella parabola dei due figli c’è quello che risponde male ma si pente, e quello che vive di facciata, risponde, alla lettera “Sissignore!”; ma la parola del padre non cambia il suo assetto, nomina il nome di Dio invano, millanta disponibilità ma fa quel che gli pare, segue il proprio consiglio.
Il grande Cristian Mounier descriveva il cristiano della sua generazione con queste parole: “Preso tra la convinzione morale che esprime più o meno apertamente… e la germinazione che dissimula, un po’ per conformismo spirituale, un po’ per impotenza, sottoscrive dei vaghi compromessi di vita, anzi non li sottoscrive neppure… lascia che si stabiliscano. Ci si adatta meglio a una cattiva coscienza che a una cattiva reputazione. Così, impostati obliquamente i rapporti con sé stesso… con un viso che gli appartiene solo a metà, emiplegico della virtù, fa una vita tortuosa”.
Dirsi cristiani ma vivere di banalità. Meglio pentirsi, smentirsi, umiliarsi, farsi piccoli, saper chiedere perdono e cambiare atteggiamento, che diventare moneta falsa. Meglio le prostitute dei farisei. Per le prime c’è speranza» (Rosini Fabio, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico A, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 197-199).