Forse nella settimana che è trascorsa qualcuno si sarà meravigliato che non vi ho spedito il commento di Fabio Rosini al brano del Vangelo di domenica scorsa. Non l’ho fatto perché ho preferito continuare le riflessioni sulla fede grazie al libro di padre Cantalamessa. Perciò stasera ho deciso di donarvi il commento al Vangelo della XX domenica e domani passerò al commento di questa domenica XXI. Del resto, il tema di domenica scorsa era la fede della cananea; quello di questa domenica XXI è sempre la fede, ma stavolta di san Pietro. Ecco il commento di don Fabio. Mi sembra che la parola più importante sia “cane”.
«Mt 15,21-28
L’amore di Dio non è cosa fra le altre, ma è la dimensione più luminosa e nobile dell’esistenza. Non è ovvio farne esperienza, perché per accoglierlo è richiesta apertura, crescita, semplicità, povertà e altri aspetti che sono nella gamma della vera relazione – e ci sarebbe molto altro da dire.
L’amore di Dio non si comanda a bacchetta, lo si accoglie, va atteso e assecondato. Ma noi impazienti, grossolani e sbrigativi, tendiamo a non aspettare i tempi di Dio, e a prendere le scorciatoie del “fai-da-te”; quindi cerchiamo di mettere in piedi l’amore di Dio – e anche quello umano – alla “bell’e meglio”; la conseguenza di tutto questo è l’incostanza dei nostri rapporti con Dio e con il prossimo, e la crisi delle relazioni durature di ogni tipo.
Il succedaneo di amore più classico è il sentimentalismo, la smanceria, il “volemose bene” glicemico, oggi trionfante. Oppure la gentilezza, la formalità e la buona educazione.
Nel Vangelo di questa domenica troviamo che Gesù non è né sentimentale né gentile ma duro e scostante. I discepoli sembrano più misericordiosi di Lui.
Una povera madre angosciata gli chiede aiuto, e Lui non le rivolge neppure una parola. I discepoli gli chiedono di ascoltare la sua supplica, e Gesù sfodera una coltellata come: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini», e sia noto che il diminutivo non è affettuoso ma dispregiativo.
Carta vetrata sulle nostre gentilezze tolleranti. Ma perché Gesù si comporta così?
La prima Chiesa evangelizzò un mondo pagano fine e tronfio – la sublime cultura ellenistica, ad esempio – e sarebbe stato facile pensare che fra la raffinatezza mediterranea e il cristianesimo ci fosse una semplice differenza di gradualità. Questo non era – e non è vero.
La redenzione portata da Cristo richiede il Battesimo, il morire all’uomo vecchio e ai suoi succedanei di amore per ricevere la novità che solo lo Spirito Santo può dare.
Per entrare in questa nuova natura, che non è la natura umana tout-court, bisogna rinnegare il demonio, il mondo e la carne.
Il testo di questa domenica racconta della fede di questa Cananea che non ha problemi a riconoscere la propria povertà, è distaccata dalla sua struttura pagana, e fa un atto che le spalanca le porte della Grazia che Cristo di colpo le accorda: è l’atto di riconoscersi indegna, e di riconoscere senza difficolta di essere un’estranea; e si definisce “cane”, che nel linguaggio religioso ebraico (ancor oggi in uso nell’Islàm) vuol dire “pagana”.
È così che si arriva alla Grazia: per la propria povertà.
Chi ha imparato la misericordia ha nella memoria il giorno in cui ci si è scoperti cani, inumani, indegni. Pietro e Paolo, ad esempio, ci sono passati, dovendosi ammettere traditori o assassini.
Questa Cananea chiede una briciola che non merita, e fa bene. La fede più grande si versa nel cuore più povero. Se pratichiamo l’arte di ricordare i giorni in cui siamo stati “cani”, contempliamo la pazienza di Dio con noi e i molti motivi per usare pazienza fra di noi…» (Fabio Rosini, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico A, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 179-181).
Don Fabio usa una parola per noi forse non molto frequente: “succedaneo”. Credo che significhi “surrogato”. Siamo spinti a fare una verifica intensa e sincera: sui succedanei dell’amore; forse ne siamo quasi …circondati.
Grazie a questo commento abbiamo la conferma che la vita interiore, l’esperienza che facciamo della pazienza di Dio e della nostra pochezza hanno (o dovrebbero avere) un ruolo decisivo nell’impostare i nostri rapporti col prossimo (in famiglia, in parrocchia, sul lavoro…).