Continuando le riflessioni sulla differenza tra la fede oggettiva e la fede soggettiva, padre Cantalamessa afferma esplicitamente che per la prima propendono i Cattolici e gli Ortodossi, mentre i Protestanti preferiscono nettamente la seconda. È evidente che i due aspetti devono stare necessariamente insieme. Tutto questo discorso non è puramente accademico, in quanto tante persone oggi affermano: “Cristo sì, Chiesa no”. Alla base forse ci sono cattive esperienze con uomini di Chiesa, ma io invece penso che la vera causa vada cercata più in profondità: una carente vita spirituale (poca preghiera, scadente vita sacramentale, scarsissima docilità allo Spirito Santo) e una terribile ignoranza in campo teologico (gravi omissioni nella formazione). In particolare, tanti ignorano che Cristo è il Capo della Chiesa, che è il Corpo. Purtroppo si illude chi pensa di amare il capo, ma non il corpo. Vi invito a meditare ciò che disse Gesù a Saulo in At 9,5.
Ecco il pensiero di padre Cantalamessa:
«Non basta avere una fede solo soggettiva, una fede che sia un abbandonarsi a Dio nell’intimo della propria coscienza. È tanto facile per questa strada, rimpicciolire Dio alla propria misura. Questo avviene quando ci si fa una propria idea di Dio, basata su una propria interpretazione personale della Bibbia, o sull’interpretazione del proprio ristretto gruppo, e poi si aderisce ad essa con tutte le forze, magari anche con fanatismo, senza accorgersi che ormai si sta credendo in se stessi più che in Dio e che tutta quella incrollabile fiducia in Dio, altro non è che una incrollabile fiducia in se stessi. Non basta però neppure una fede solo oggettiva e dommatica, se questa non realizza l’intimo, personale, contatto, da io a tu, con Dio. Essa diventa facilmente una fede morta, un credere per interposta persona o per interposta istituzione, che crolla non appena entra in crisi, per qualsiasi ragione, il proprio rapporto con l’istituzione che è la Chiesa. È facile, in questo modo, che un cristiano arrivi alla fine della vita, senza aver mai fatto un atto di fede libero e personale, che è l’unico che giustifichi il nome di credente. Bisogna dunque credere personalmente, ma nella Chiesa; bisogna credere nella Chiesa, ma personalmente. La fede dommatica della Chiesa non mortifica l’atto personale e la spontaneità del credere, ma anzi lo preserva e permette di conoscere e abbracciare un Dio immensamente più grande di quello della mia povera esperienza» (Raniero Cantalamessa, Maria. Uno specchio per la Chiesa, Ancora, Milano 1990, pp. 58-59).
Mi colpisce molto l’espressione “credere per interposta persona o per interposta istituzione”. Non posso non pensare a coloro che dicono “I preti, i vescovi mi fanno perdere la fede”. Oppure: “Io accetto Gesù, ma non la Chiesa, perché il Vaticano è troppo ricco”. O ancora, alcuni attribuiscono l’allontanamento dalla Chiesa alla terribile piaga dei preti pedofili. Se io ho capito che la Chiesa è mia madre, se io so che mia madre ha problemi (debolezze, peccati), non posso limitarmi a parlarne male, ma la devo semplicemente aiutare (con la preghiera, la penitenza, l’apostolato, la santità di vita).
Proprio il Vangelo della s. Messa di domenica prossima (Mt 16,13-20) ha al centro la fede e il rapporto profondo tra Cristo e la Chiesa.
Mi sta a cuore anche precisare che non basta l’adesione teorica alla Chiesa istituzione, ma è molto importante l’adesione concreta, quotidiana, magari anche sofferta, a una comunità parrocchiale concreta (i miei “poveri” parrocchiani sanno bene cosa penso dei “cattolici saltellanti”). Intendo dire che è relativamente facile aderire alla Chiesa intesa in senso astratto, ma vivere le difficoltà e la bellezza dei rapporti e delle relazioni con una famiglia parrocchiale concreta e precisa (possibilmente senza cambiare ogni 4 o 5 anni) ci fa vivere la fede a un livello del tutto diverso. Anche perciò per me sarebbe stata una grave carenza essere sacerdote e magari docente, ma rifiutando l’altissima e difficilissima missione di parroco.