Il brano del Vangelo di questa domenica è tanto famoso, quanto, a mio parere, molto poco compreso e approfondito. Che significa dare sia a Cesare sia a Dio ciò che spetta loro? Io ritengo che sia in questione il delicatissimo e attualissimo rapporto tra etica e diritto, tra fede e politica, tra Chiesa e Stato. Ora mi limito a spedirvi il commento di don Fabio Rosini e mi “diverto” a porre una semplice domanda. Mi sono formato le mie idee politiche ascoltando papà e mamma, leggendo Repubblica ed Espresso o anche studiando bene la Bibbia, la Dottrina sociale della Chiesa e la teologia morale sociale?
XXIX domenica del Tempo Ordinario
Mt 22,15-21
«“È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”. Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?”».
Ha ragione Gesù; la domanda è capziosa, visto che è posta per ottenere un sì o un no, e di conseguenza è una trappola: se Gesù avesse risposto di sì, ossia di pagare il tributo, si sarebbe messo dalla parte dell’impero romano invasore e oppressore; se invece avesse detto di non pagare, allora poteva essere denunciato a quella stessa autorità come sobillatore di ribellione.
Gesù fa quello che fa sempre: salta a un piano superiore. Non si fa incastrare nel bivio malizioso, ma sposta il discorso al suo livello, quello nobile.
Dobbiamo ricordare questa sua tecnica: rispondere spesso alle domande con altre domande. …Molte volte bisogna liberarsi delle domande sbagliate e, anziché torturarsi nella ricerca delle risposte, mettere in questione gli interrogativi che ci stanno fuorviando. Ci sono persone che sprecano la propria esistenza per rispondere a domande di cui invece si dovrebbero liberare…
Allora Gesù chiede di esaminare la moneta del tributo. Strana moneta quella: fu battuta per pochi anni ed era caratterizzata dall’immagine dell’imperatore (cosa rarissimamente permessa dal Senato Romano) e dalla scritta che lo affermava come “divino”. Il fatto era emblematico di qualcosa con cui i primi martiri dovettero fare i conti: l’auto-divinizzazione dell’impero. Molti cristiani furono condotti al patibolo perché si rifiutavano di sacrificare all’imperatore, secondo quel culto imperiale che in tutti i regimi, prima e dopo Roma, viene più o meno apertamente ritualizzato, fino agli esempi moderni più tragici.
Dalla frase di Gesù: «Rendere dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» sgorga una domanda: chi è di chi? Questo è il piano su cui Gesù sposta il discorso.
Cosa è di Cesare? Cosa è di Dio? E così si apre l’immensa schiera di persone che faranno questo discernimento battesimale, restituendo al mondo ciò che è suo e consegnando a Dio quel che in verità gli appartiene. Come Francesco d’Assisi che restituisce al padre i suoi vestiti per prendere gli abiti della vita nuova, che è povertà per questo mondo, e immensa ricchezza nella verità.
Il denaro, infatti, porta l’immagine e l’iscrizione di questo mondo e dei suoi dominatori, ma l’uomo porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio.
Da Cristo in poi un esercito di uomini e di donne restituiranno al mondo, alla carne e al maligno quel che appartiene loro, consegnandosi a Dio per vivere secondo verità e secondo il Cielo.
Cosa appartiene a Dio? La vita e il cuore dell’uomo, e il suo corpo, il suo amore, le sue relazioni e tante altre cose che vanno strappate a questo mondo perché le rivendica solo per abusarle e strumentalizzarle.
Guai a noi quando diamo al mondo quel che è di Dio, quando facciamo della fede uno strumento di benessere individuale o di potere.
In ogni atto cristiano ci si libera del mondo per riconsegnare al Padre ciò che è suo: noi stessi» (Rosini Fabio, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico A, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 206-208).