20-10-2023

Stasera vi spedisco la conclusione dell’omelia di Giovanni Paolo II. Ritengo utile sottolineare una parte “positiva” e una parte “negativa”. Quella negativa è relativa alle “forme di meditazione” e alle “concezioni del sacro” da cui siamo messi in guardia.

Quella positiva la vedo nell’invito a ringraziare e nella sequela di “è Lui che…”. Abbiamo molti spunti per crescere nella vita interiore e magari anche per spiegare a chi lavora per il Sinodo quali sono le vie da percorrere senza indugio.

Siccome spesso siamo tentati dallo scoraggiamento, dal pessimismo, dal chiuderci in noi stessi, l’esortazione finale a “fissare lo sguardo al cielo” è preziosa (se non viene intesa come una pericolosa evasione).

 

 

«Noi rendiamo grazie, ancora oggi, per il messaggio affidato ai santi di Paray e che non ha smesso di stendere i suoi raggi. Alle soglie del nostro secolo papa Leone XIII salutava “nel Sacro Cuore di Gesù un simbolo e una immagine chiara dell’amore infinito di Gesù Cristo, amore che ci spinge ad amarci uni gli altri” (cfr. Annum sacrum, 1900). Pio XI e Pio XII hanno favorito questo culto, riconoscendo in esso una risposta spirituale alle difficoltà che la fede e la Chiesa incontrano.

Certo, l’espressione e la sensibilità si evolvono, ma l’essenziale resta. Quando si è scoperto nell’adorazione eucaristica e nella meditazione il Cuore di Gesù “sempre ardente d’amore per gli uomini” (Ritiro, n. 150) come ci si potrebbe lasciar sedurre da forme di meditazione chi ripiegano su di sé senza cogliere la Presenza del Signore? Come si potrebbe essere attratti dal proliferare di concezioni del sacro che non fanno altro che mascherare un tragico vuoto spirituale?

Per l’evangelizzazione di oggi, occorre che il Cuore di Cristo sia riconosciuto come il cuore della Chiesa: è Lui che chiama alla conversione e alla riconciliazione. È Lui che trascina sulla via delle Beatitudini i cuori puri e gli affamati di giustizia. È Lui che realizza la comunione calorosa dei membri del Corpo unico. È Lui che permette di aderire alla Buona Novella e di accogliere le promesse della vita eterna. È Lui che manda in missione. La stretta vicinanza con Gesù allarga il cuore dell’uomo alle dimensioni del mondo.

Possa la canonizzazione di Claudio La Colombière essere per tutta la Chiesa un appello a vivere la consacrazione al Cuore di Cristo, consacrazione che è dono di sé per lasciare che la carità di Cristo ci animi, ci perdoni e ci trascini nel suo ardente desiderio di aprire a tutti i nostri fratelli le via della verità e della vita

 

“Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato” (Gv 17,25).

Questi: i santi   ̶  le sante  ̶ la Chiesa nelle sempre nuove epoche della storia.

Questi: Claude La Colombière   ̶ Maria Margherita Alacoque. La Chiesa.

Nel tempo pasquale la Chiesa rivive le teofanie del suo Redentore e Signore-Buon Pastore che “offre la vita per le pecore” (Cfr. ibid. 10, 15).

E la Chiesa fissa lo sguardo al cielo insieme col diacono Stefano, primo martire lapidato in Gerusalemme.

La Chiesa fissa lo sguardo al cielo come Stefano nel momento della sua morte da martire: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio del l’uomo che sta alla destra di Dio …Signore Gesù, accogli il mio spirito” (At 7, 56. 59)» (Giovanni Paolo II, Omelia, 31 maggio 1992).