Il commento di don Fabio al Vangelo di questa domenica è piuttosto breve e sembra dare eccessiva importanza ad alcuni dati geografici e meteorologici. In realtà, mi sembra una pagina preziosa perché con poche parole, ma in modo molto profondo, ci aiuta a riflettere su alcuni temi fondamentali: la paura, la libertà e la fede.
«XIX domenica del Tempo Ordinario
Mt 14,22-33
“Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva”.
Può sfuggire una cosa: l’uso del verbo “costringere”. Il termine greco vuol dire “indurre ad agire in un modo particolare, costringere, forzare, imporre”. Perché mai Gesù deve “imporre” questa traversata?
Il racconto segue la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e sappiamo che è sera: i discepoli, infatti, proprio per questo avevano chiesto di congedare la folla. Gesù deve forzare la mano dei suoi discepoli per farli salire in barca. Si può giustamente pensare che non vogliano andare senza di Lui, ma il racconto che segue indica anche altro.
Dobbiamo ricordare che il ceppo fondamentale dei suoi discepoli è costituito da pescatori – i primi quattro lo sono di professione – mentre gli altri sono di quelle parti; tutti conoscono bene quello specchio d’acqua che loro chiamano addirittura mare. E non vogliono partire di sera perché sanno una cosa: le tempeste serali e notturne sul lago di Tiberiade sono frequenti.
Questo accade anche oggi per tre fattori: una corrente d’aria proveniente dal Nord scende dall’Ermon e incanalandosi nella valle del Giordano fa pressione sul lago, combinandosi spesso con il vento che dal Mediterraneo trova valico nella pianura di Esdrelon per riversarsi sul lago, il quale dal canto suo di notte restituisce molto calore e, con la rarefazione dell’aria, crea le condizioni per una perturbazione locale sita proprio nel mezzo del bacino d’acqua.
Il rischio minimo è la presenza di un forte vento, e questo e può degenerare in una vera e propria tempesta, come altri testi evangelici raccontano. Se in un viaggio in Terra Santa si prova a chiedere come mai sul lago non si fanno traversate per turisti dopo una certa ora del pomeriggio, i barcaroli sanno spiegare tutto ciò. Troppo rischioso partire di sera.
E perché Gesù li costringe a correre questo rischio? Sono pescatori e vanno incontro alla loro paura professionale: morire in mare o, perlomeno, fallire la traversata. Il Signore li spinge dentro le loro paure di Galilei pescatori – in un mare che nella Scrittura rappresenta l’ostacolo storico, quello della Pasqua, che evoca tutte le paure umane. E la notte pare non finire mai.
Ma nel mezzo della loro paura, Gesù torna e appare come uno che su quel mare ci passeggia. Un fantasma. Proprio nel cuore del loro terrore devono fare questa esperienza: conoscere il Figlio di Dio.
Perché fino al giorno in cui Dio non illumina con la sua Signoria le nostre paure più profonde, non siamo veramente liberi. Addirittura, come Pietro, siamo chiamati noi a camminare su quel mare.
Il Signore non solo manifesta chi è Lui, e non è poco, ma rivela chi siamo noi: persone chiamate alla libertà. Se la vita talvolta ci costringe a entrare nella tempesta, è per conoscere il Dio di Gesù Cristo, cosa che non implica l’essere al riparo da ciò che temiamo, ma il divenire liberi da ciò che temiamo, standoci dentro.
Il nostro problema non è la tempesta, ma la fede. Sempre troppo poca…» (Rosini Fabio, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico A, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 173-175).