Stasera rifletto ancora sul tema dell’offerta (al centro di Rm 12,1-2), ma sto meditando ancora su quello che mi sembra il punto centrale di Mt 16,21-27 (il brano del Vangelo di domenica scorsa): siamo chiamati ad abbracciare la croce e a rinnegare noi stessi per poterci donare. In ultima analisi, la morte in croce di Gesù e la sua risurrezione sono finalizzate alla nostra trasformazione interiore, cioè alla nostra salvezza. Una volta trasformati e salvati, a partire dal Battesimo, e con un’intensa vita sacramentale e di preghiera, saremo “abilitati” ad amare come il Signore desidera (in modo molto diverso dall’affetto poco illuminato mostrato da Pietro in Mt 16,22).
Tutti questi temi (l’offerta e il vero amore) li vedo spiegati in modo splendido da papa Benedetto nel discorso rivolto ai giovani di tutto il mondo in Germania il 20 agosto 2005. Egli prese spunto dal fatto che i Magi offrirono a Gesù oro, incenso e mirra, per donarci riflessioni preziose.
Sono sicuro che, meditando bene il brano che ora vi spedisco, saremo aiutati a capire e a vivere meglio il senso dell’offerta, dell’adorazione, del perdersi, del vero amore, del donarsi, del crescere nella conformità a Gesù.
«Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell’Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell’amore, che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all’ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso – è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali – oro, incenso e mirra – doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L’adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell’adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall’Oriente seguivano senz’altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall’alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d’essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù» (BENEDETTO XVI, 20-8-2005).