03-09-2023

Giovedì scorso ho proposto un testo ai miei parrocchiani per l’adorazione eucaristica. Ora ve lo spedisco perché mi sembra il commento più adatto al brano del Vangelo di questa domenica.

 

«Scarso è il numero di coloro che amano la croce di Gesù.

Oggi, di innamorati del suo regno celeste, Gesù ne trova molti; pochi invece ne trova di pronti a portare la sua croce. Trova molti desiderosi di consolazione, pochi desiderosi della tribolazione, molti disposti a sedere a mensa, pochi disposti a digiunare. Tutti desiderano godere con Lui, pochi vogliono soffrire per Lui. Molti seguono Gesù fino alla distribuzione del pane, pochi invece fino al momento di bere il calice della passione. Molti guardano con venerazione ai suoi miracoli, pochi seguono l’ignominia della croce. Molti amano Iddio fin tanto che non succedono avversità. Molti lo lodano e lo benedicono soltanto mentre ricevono da lui qualche consolazione; ma, se Gesù si nasconde e li abbandona per un poco, cadono in lamentazione e in grande abbattimento. Invece coloro che amano Gesù per Gesù, non già per una qualche consolazione propria, lo benedicono nella tribolazione e nella angustia del cuore, come nel maggior gaudio spirituale. E anche se Gesù non volesse mai dare loro una consolazione, ugualmente vorrebbero sempre lodarlo e ringraziarlo.

Oh!, quanta è la potenza di un amore schietto di Gesù, non commisto con alcun interesse ed egoismo! Forse che non si debbono definire quali mercenari tutti quelli che vanno sempre cercando consolazione? Forse che non si dimostrano più innamorati di sé che di Cristo quelli che pensano sempre al proprio utile e al proprio vantaggio? Dove si troverà uno che voglia servire Iddio senza ricompensa? È difficile trovare chi sia spiritualmente così alto da voler essere spogliato di ogni cosa. Invero, chi lo troverà uno veramente povero nello spirito e distaccato da ogni creatura? Il suo pregio è come quello di cose provenienti da lontano, dagli estremi confini della terra (Pro 31,10). Anche se uno si spogliasse di tutte le sue sostanze (Ct 8,7), non è ancor nulla; anche se facesse grande penitenza, è ancora poca cosa; anche se avesse appreso ogni scienza, egli è ancora ben lungi dalla meta; anche se avesse grande virtù e fervente devozione, ancora gli manca molto: cioè la sola cosa, che gli è massimamente necessaria. Che cosa dunque? Che, abbandonato tutto, abbandoni anche se stesso, ed esca totalmente da sé, senza che gli rimanga un briciolo di amore di sé; che, dopo aver compiuto tutto quello che riconosce suo dovere, sia persuaso di non aver fatto niente; che non faccia gran conto di ciò che pur possa sembrare grande, ma sinceramente si proclami servo inutile, come dice la Verità stessa: “Quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: siamo servi inutili” (Lc 17,10). Allora sì, che uno potrà essere davvero povero e nudo spiritualmente, e dire col profeta: “Sono abbandonato e povero” (Sal 24,16). Ma nessuno è più ricco, nessuno più potente, nessuno più libero di costui, che sa abbandonare se stesso e ogni cosa e porsi all’ultimo posto» (L’imitazione di Cristo II, 11, 1-2).

 

Ieri a Coverciano nella conferenza stampa il nuovo c.t. della nostra Nazionale di calcio ha fatto delle affermazioni che mi hanno colpito:

 

«Io cerco la felicità, è quella di cui abbiamo bisogno. Di solito però io non riesco a essere felice da solo, io mi rifletto nella felicità altrui. Non riesco a essere felice se non vedo la gente felice attorno a me».

 

Non ho potuto non pensare al fatto che san Pietro nel brano nel Vangelo di oggi cerca di distogliere Gesù dal cammino verso la croce proprio perché cercava la felicità per sé, per Gesù e anche per gli altri apostoli. Eppure, io penso che Dio ci ha creati perché ci vuole felici. Forse non tutti ricordano che quest’anno ricorre il quarto centenario della nascita di un grande genio «nei campi della matematica, della geometria, della fisica e della filosofia». Soprattutto egli è stato un «infaticabile ricercatore del vero». Sono parole scritte da papa Francesco nella lettera apostolica  “Sublimitas et miseria hominis” , pubblicata proprio per celebrare il centenario della nascita di Blaise Pascal (ovviamente io vi consiglio di meditare per intero questa lettera del Papa).

 

Ecco un brano della lettera di papa Bergoglio. Egli riporta anche il pensiero di Pascal. Consegno il tutto alla vostra meditazione.

 

«Esiste una sproporzione insopportabile tra, da una parte, la nostra volontà infinita di essere felici e di conoscere la verità e, dall’altra, la nostra ragione limitata e la nostra debolezza fisica, che conduce alla morte. Perché la forza di Pascal è anche nel suo implacabile realismo: “Non occorre un’anima molto elevata per capire che in questo mondo non esistono soddisfazioni autentiche e stabili, che tutti i nostri piaceri non sono altro che vanità e i nostri mali sono infiniti, e che infine la morte, che ci minaccia ad ogni istante, deve immancabilmente metterci entro pochi anni nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici. Nulla è più reale né più terribile di questo. Facciamo pure gli spavaldi quanto vogliamo: ecco la fine che attende la vita più bella del mondo” (Pascal, Pensieri, n. 682)» (Francesco, lettera apostolica “Sublimitas et miseria hominis”, 19-6-2023).

 

In estrema sintesi, io finora ho capito che Gesù ci vuole felici, ma la nostra felicità consiste nel donarci, abbracciando totalmente la volontà di Dio, che unisce in modo indissolubile il Calvario e la Risurrezione.